OpenAI, l’azienda dietro il popolare modello di intelligenza artificiale, affronta attualmente una serie di sfide legate ai diritti d’autore e alla gestione delle relazioni con i publisher. Nonostante abbia già ampie risorse di contenuti acquisiti senza licenza, ha iniziato a siglare accordi con alcuni dei più grandi editori al fine di garantire accesso a materiale recente e affidabile. Ma cosa c’è dietro questa apparente contraddizione?
Indice
Il contorto mondo dei diritti d’autore
Negli ultimi anni, OpenAI ha sviluppato i suoi modelli di linguaggio, come ChatGPT, estraendo informazioni da una vasta gamma di fonti disponibili online, inclusi archivi di case editrici di primaria importanza come Condé Nast e The Associated Press, spesso senza il loro consenso. Ora, l’azienda sta cercando di formalizzare la sua relazione con questi stessi publisher, stipulando contratti che le consentono di accedere ai loro contenuti in modo lecito.
Questa decisione lascia molti perplessi: perché OpenAI dovrebbe pagare per ciò che già possiede? La risposta potrebbe risiedere nel crescente bisogno di garantire l’aggiornamento dei contenuti che alimentano i suoi servizi, aumentando così l’affidabilità delle informazioni restituite dagli assistenti digitali.
Trattative poco chiare
Secondo alcune fonti, i contratti stipulati offrono a OpenAI accesso a pubblicazioni che forniscono contenuti freschi e autorevoli. Questi accordi, tuttavia, sono avvolti nel mistero. I dettagli specifici rimangono sconosciuti, probabilmente a causa di rigorose clausole di riservatezza. È emerso, inoltre, che le somme offerte ai publisher siano piuttosto modeste, oscillando tra 1 e 5 milioni di dollari all’anno. Se da un lato queste cifre possono apparire irrisorie rispetto al valore delle opere digitali, dall’altro rappresentano una strategia per evitare contenziosi legali da parte degli editori arrabbiati.
PubblicitÃ
I rischi legali incombenti
Il panorama legale si complica ulteriormente con le cause intentate da alcuni editori, tra cui il New York Times, che ha accusato OpenAI di violazione del copyright. La causa afferma che OpenAI abbia utilizzato il materiale del New York Times senza autorizzazione, per poi creare un prodotto che compete direttamente con il suo, portando via lettori e introiti pubblicitari. Le potenziali perdite economiche per OpenAI, se dovesse perdere questa causa, potrebbero superare i 7,5 miliardi di dollari in danni legali.
Strategie per il futuro
Per OpenAI, stabilire relazioni con i publisher non è solo una questione di regalare denaro per evitare cause legali. Questi accordi potrebbero offrirle un vantaggio competitivo rispetto ai colossi della tecnologia come Google. Negli ultimi anni, Google ha visto una diminuzione del traffico che rimanda a fonti esterne e gli editori potrebbero finalmente ottenere l’opportunità di rinegoziare il potere che hanno nella catena di distribuzione delle notizie e dei contenuti.
Con le recenti innovazioni, OpenAI sta introducendo SearchGPT, un motore di ricerca progettato per competere con Google. Questa mossa potrebbe rappresentare una svolta significativa, offrendo contenuti meno affetti da disinformazione e più riconoscibili in termini di qualità , grazie anche agli accordi con i publisher.
Prospettive future per OpenAI
Il destino di OpenAI sarà , in parte, determinato dall’andamento delle trattative legali e dalle decisioni che i tribunali prenderanno riguardo all’uso dei dati senza licenza. La possibilità che le case editrici possano rivendicare un ruolo più potente è concreta, e il panorama legale sperimenterà indubbiamente cambiamenti significativi nei prossimi anni.
L’industria dei contenuti e la sua interazione con l’intelligenza artificiale evolveranno, ma una cosa è certa: sia OpenAI che Google dovranno affrontare la crescente pressione esercitata dai publisher che cercano di proteggere i propri diritti. La vera domanda è se questo nuovo approccio possa portare a un ecosistema più giusto e sostenibile per tutti i protagonisti coinvolti.